L’idea che le strutture in muratura di cui è pieno il Paese siano tutte da trasformare in scatole rigide è stata per lungo tempo dominante nella prospettiva del consolidamento sismico.
Tale idea ha prodotto in molti casi più svantaggi che vantaggi, ed è ormai percepibile, tra i tecnici più avveduti, la consapevolezza che interventi tesi a trasformare parzialmente gli edifici in muratura in scatole rigide sono potenzialmente disastrosi.
D’altro canto, ove condotti con metodica completezza, tali interventi spesso snaturano completamente la struttura cui sono applicati e dunque, in specie in aree dove l’edificato in muratura è antico, l’effetto è comunque inaccettabile o snaturante. Trasformare Palazzo Vecchio nel bunker della Cancelleria di Berlino non avrebbe molto senso.
Se è vero che una scatola bella rigida resiste bene al terremoto, non è detto che, per resistere al terremoto, tutto debba essere trasformato in una bella scatola rigida. Inoltre, assumere che chi ci ha preceduto e che ha edificato la meraviglia che era il nostro Paese, fosse sempre e comunque un incompetente, aggravato dalla mancata conoscenza della teoria dell’elasticità, dei tensori, del fattore di struttura e dello spettro di risposta, è veramente troppo rozzo e presuntuoso per poter essere preso sul serio.
Dato che l’Italia è la patria delle costruzioni in muratura, e che ben pochi Paesi possono vantare un’ampiezza geografica e storica di patrimonio edile in muratura comparabile con la nostra, sarebbe naturale che proprio qui gli interventi sull’edificato (storico e non) in muratura fossero all’avanguardia. Invece, colpevolmente, molta pratica ingegneristica si è tradotta nel cementificare tutto il cementificabile e nel dimenticare completamente, per lunghi decenni, materiali come il legno, il laterizio e la pietra, ed elementi costruttivi come i contrafforti, le volte e gli archi, quasi che farne uso fosse squalificante o intrinsecamente sbagliato perché “vecchio”.
Oggi sappiamo che la miriade di condomini in calcestruzzo armato di cinque o più piani non tutela dalle scosse sismiche, ma anzi, costituisce un grave problema con cui avere a che fare, e che gli aggiustamenti ad hoc delle normative in tema di pericolosità sismica e di adeguamento, le “vite restanti” e le “probabilità in cinquant’anni” altro non sono che sistemi artefatti messi in piedi per evitare di guardare in faccia la realtà: che il Paese è stato ricoperto di strutture vulnerabili, spesso calcolate per le sole azioni verticali: ma “calcolate” e in béton armé, e quindi, nella vulgata allora corrente, sicure.
Del tutto contro corrente rispetto a tutto quanto gli stava intorno, il Prof. Pierotti per decenni ha studiato le virtù degli edifici in muratura nelle zone della Toscana come la Lunigiana, la Garfagnana e la Valtiberina, ben note per la loro sismicità storica. Partendo dall’idea che chi ci ha preceduto non fosse proprio così stupido e sprovveduto, e studiando gli effetti dei terremoti sugli edifici, e tutti gli accorgimenti via via elaborati nel corso di secoli, il Prof. Pierotti ha contribuito in modo determinante a formare una nuova disciplina, la sismografia storica, del tutto ignota, credo, alla maggior parte degli architetti e ingegneri di questo Paese, incluso il sottoscritto fino a un paio di anni fa. Del resto, quando mai ci è stato detto, nelle Università, che meritasse vedere come son state costruite le case in muratura nei borghi situati nelle aree sismiche del Paese?
Invece, apprendiamo qui in maniera credibile che dalle costruzioni normali, dall’architettura vernacolare, abbiamo molto da imparare (e molto bella è, in questo testo, l’accorata descrizione di cosa sia una tale architettura, fatta dalla professoressa Denise Ulivieri, continuatrice dell’opera del Prof. Pierotti), e non solo perché sono più belle e più armoniosamente inscritte nel paesaggio.
Pur non essendo scatole rigide, ma anzi, proprio perché non lo sono, le costruzioni in muratura studiate dal professore hanno mostrato una sorprendente capacità di adattamento e di resistenza, o con parola oggi attuale, resilienza. Crollate in partenza secondo i metodi che oggi pratichiamo, esse hanno protetto cose e persone per secoli, ed hanno resistito a diverse prove sismiche senza troppo danneggiarsi, o danneggiandosi spesso in modo facilmente riparabile: non è questo il paradigma delle norme più recenti, indipendentemente dal fatto che il fattore di struttura q con cui i nostri poveri metodi matematici cercano di valutare il reale, è troppo misero e sintetico per essere qui applicabile?
Certo, queste strutture non sono edifici di otto piani, e non sono state costruite sull’alveo di un fiume, onde meglio amplificare le scosse. Certo, hanno aperture limitate, e luci modeste: non garriscono al cielo con la presunzione positivistica del béton armé. Non hanno pericolosi pilotis, piazze d’armi aperte al pian terreno, tondini arrugginiti in bella vista, e sono spesso semplici, sebbene di grande valore estetico. Ma hanno frequentemente resistito, anche grazie ad una serie di accorgimenti, non matematizzabili, che alla prova dei fatti si sono rivelati molto efficaci.
Buttiamo via tutto? Che sorta di selvaggia incapacità di guardare ci ha condotto, negli ultimi cinquant’anni, a massacrare il nostro patrimonio sostituendolo con Frankenstein strutturali dove il rigido cordolo in calcestruzzo armato poggia sulla muratura a sacco, e dove pesanti superfetazioni impongono alle strutture sottostanti di far da supporto alla giostra?
Questo libro del Prof. Pierotti descrive cosa sia la sismografia storica e la racconta, con un taglio che non è quello analitico-quantitativo degli ingegneri strutturisti, il che dovrebbe far riflettere. Sono dunque molto contento che la Collana si arricchisca di questo importante contributo, che, mi pare, è in risonanza con quello del Prof. Heyman, Lo Scheletro di Pietra. Le osservazioni contenute in questo lavoro meritano attenzione anche quando stravolgono quanto ci è stato insegnato, apparentemente ribaltandolo: va tenuto presente, infatti, che gli edifici in muratura ai quali il professore si riferisce non sono scatole rigide (men che meno parziali scatole rigide, le più pericolose), non sono stati progettati come tali, e non vogliono esserlo.
E’ possibile resistere al terremoto con strategie diverse da quelle del continuo (inapplicabile alla muratura per definizione), per di più rigido? E se è possibile, l’estrema difficoltà nel quantificare sarà un ostacolo insormontabile? Dobbiamo effettivamente calcolare tutto? Trasformare tutto in numero? Se il prezzo da pagare è la rovina e lo snaturamento del patrimonio del nostro Paese, resta valida l’idea che ciò che non è quantificabile, non esiste? E poi: quante volte i nostri calcoli alla prova dei fatti si sono rivelati totalmente inadeguati?
Come ingegnere strutturista avverto come una sfida estremamente stimolante, quella lanciata da questo libro e dagli studi compiuti, con la dedizione di una vita, dal prof. Pierotti e dal suo gruppo. Sarebbe facile, per gli strutturisti come me, buttar via tutto questo pregevole lavoro (concretizzatosi in un vasto archivio fotografico composto da migliaia di immagini) giudicandolo come “impressioni qualitative”, ma sarebbe un atto di presunzione: che le murature si aprano e chiudano, che gli adattamenti e le deformazioni permanenti siano la loro stessa natura è ben noto agli studiosi, anche se le tecniche per la valutazione numerica di tali comportamenti sono ardue o assenti. Anche ciò che non è quantificabile con precisione esiste e può essere utile.
Che le considerazioni di fondo fatte dal gruppo del Prof. Pierotti siano valide per me non c’è dubbio. Si tratta di capire come immetterle all’interno di un virtuoso processo di analisi, che dovrà coniugarle anche con altri metodi e sistemi, e che dovrà cercare di rendere queste osservazioni e questi studi ancor più sistematici, là dove applicabili. A tale riguardo, un’effettiva collaborazione tra specialisti di diverse discipline sarebbe altamente auspicabile. C’è ancora da fare moltissimo per la corretta trattazione del consolidamento delle strutture in muratura. Il problema, per il nostro Paese, è centrale, è di assoluta importanza.
Questo libro è davvero un importante contributo di riflessione che non si può dunque che salutare con gratitudine e soddisfazione.

[dalla Prefazione di Paolo Rugarli]
   
Sismografia storica.
Regole di carta, regole di pietra: la loro applicabilità professionale

AUTORE | Piero Perotti
EDITORE | EPC editore
ISBN | 978-88-6310-714-2
ANNO | aprile 2016
PAGINE | 304
PREZZO | 28 euro
 





    
L’AUTORE_PIERO PIEROTTI
Piero Pierotti (1937) è professore a riposo di Storia dell’architettura. Ha svolto la sua intera attività di docenza e di ricerca presso l’Università di Pisa, dal 1960 al 2008, prima come assistente di Storia dell’arte con Carlo Ludovico Ragghianti e in seguito tenendo corsi ufficiali di Storia dell’urbanistica, Storia dell’architettura e Storia dell’architettura medievale. Si è occupato prevalentemente di ecostoria, di storia del paesaggio, di restauro territoriale, di architettura medievale, di culture sismiche locali, di sismografia storica. In tema di attività sul campo, con riguardo al comportamento sismico dell’edificato storico, oltre che in Italia ha condotto esperienze dirette in Portogallo, Grecia insulare, Turchia, Israele, Giordania, Siria, Libano e Armenia. Ha scritto circa trenta monografie. È membro del Comitato scientifico del Centro Universitario Europeo per i Beni culturali di Ravello (Villa Rufolo), presso il quale, dal 1985, ha sviluppato programmi europei e tenuto attività di seminario nel campo delle culture sismiche locali.

 
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SISMOGRAFIA STORICA

Regole di carta, regole di pietra